Leggere un libro di Gianluca Morozzi significa fare i conti con la follia umana che ci circonda sempre e ovunque. Quindi, perché rincarare la dose con le pagine di un romanzo? Non basta quella della vita reale? No. Mi piace accumulare nella memoria storie tragiche e inquietanti.
Nel suo ultimo romanzo, Gli annientatori, pubblicato da Tea, Morozzi non parte a bomba con le situazioni grottesche e spaventose, che solo gli dèi degli inferi sanno come faccia a partorire, ma si percepisce costantemente il dramma in agguato. Il protagonista è Giulio Maspero, uno scrittore che ha fatto fortuna solo con un libro, Zanne e artigli, il quale però non gli permette di vivere di rendita. All’età di 13 anni si è messo in testa di voler fare questo mestiere, di scrivere racconti stile Urania, ha proseguito nel suo intento partecipando a concorsi e inviando manoscritti alle riviste, fregandosene degli amorevoli commenti del padre che – come un avvoltoio sulla spalla – lo spronava con frasi del tipo «Dai che ti invitano da Maurizio Costanzo!». Maspero non si è arreso, ha passato dei periodi da vero e proprio squattrinato, ma alla fine, tutto sommato, ce l’ha fatta a pubblicare qualche romanzo e a vivere dignitosamente. Adesso che vi ho fatto affezionare al protagonista, posso smontarlo dicendo che, oltre a vivere dignitosamente sulle spalle delle sue fidanzate, ha anche il coraggio di tradirle senza il minimo senso di colpa: lo status di scrittore l’ha aiutato, ma l’ha messo anche nei guai. Dopo aver scoperto di essere stata tradita con una giovane studentessa, infatti, la sua fidanzata non ci pensa due volte a sbattere fuori di casa il povero Maspero, che in un agosto bolognese è costretto a cercare un’altra sistemazione per continuare a scrivere il bestseller della vita e a dormire con un tetto sulla testa. Casualmente in un bar incontra una vecchia conoscenza, Mauro Britos, un illustratore che si sente il genio della perversione con una matita in mano e che gli offre proprio il suo appartamento, mentre lui è in Uruguay. Maspero non ha molte alternative, accetta subito senza sapere che il suo viaggio verso la dannazione è appena iniziato. Il condominio nella periferia di Bologna in cui va ad abitare è popolato da un’intera famiglia sulla quale circolano strane voci, alcune per nulla rassicuranti. All’apparenza sono le classiche brave persone che salutano sempre e che danno il benvenuto con una teglia di lasagne, ma la realtà è terribilmente un’altra.
La mia venerazione per Morozzi va oltre le trame dei romanzi e lo stile narrativo: la sua capacità di raccontare storie surreali in un contesto totalmente realistico, mi lascia sempre senza parole, e anche questa volta è riuscito a rovesciare la normalità per mostrarci gli orrori che solo il genere umano può compiere. Io adesso non so con che occhi guarderò i miei vicini di casa, ma so per certo che il tragico finale di questo libro non lo dimenticherò tanto facilmente.
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L’inferno è aspettare impazienti di tornare all’inferno. Perché l’inferno è sempre meglio di quel che è diventata la tua vita.
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L’altra via per la mia rovina, oltre alla scrittura, sono state le ragazze. Niente di originale, lo so.
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Mentre urlo e urlo e urlo in silenzio pregando di impazzire, i mostri che mi hanno annientato, che mi hanno reso l’ombra vaga di un essere umano, escono dall’appartamento uno per uno.