14 ottobre 2016
Libri

Cleopatra va in prigione – Claudia Durastanti

Una volta Caterina si era conficcata la spina di una rosa in mano e non riusciva a farla venire via. Era rimasta zitta una settimana, finché la ferita non aveva espulso un pezzo di legno e le era rimasto un taglio che non suppurava ma neanche si rimarginava, come le stimmate. Sua madre aveva cercato di convincerla che era una strega, lei aveva iniziato a pensare di essere una santa. Oggi, quando qualcuno le chiede della cicatrice in mezzo al palmo, dice che è solo una linea della vita più lunga. 

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Quella sera ho capito che un night deve avere le stesse luci degli acquari; è più facile andare in fondo se quando ti guardi allo specchio sembri una sirena – una creatura che non esiste. 

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Rebibbia è sovraffollata, Caterina se ne accorge dal rumore simile a quello di una mensa elementare. […] Le latte di cibo dovrebbero essere confiscate subito dopo i pasti, ma i detenuti le usano come posacenere: in prigione è tutto metallico, pure la noia. 

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Quando sei stata così tanto tempo con qualcuno, i suoi fallimenti sono una corteccia che ti cresce addosso, e le sue colpe diventano le tue. 

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Quando sei sotto le coperte con la febbre e il mal di gola, poche cose sono in grado di migliorare il tuo stato psico-fisico:

1. La Tachipirina
Siamo nel 2016, curiamoci con quello che la ricerca scientifica ha messo a punto per noi e prepariamoci a una sana sudata per espellere Il Male.

2. La colazione
La prima, la seconda, a volte anche la terza, sono un vero toccasana. I farmaci vanno assunti a stomaco pieno, meglio se pieno di biscotti, tè, muffin e fette biscottate con la marmellata.

3. Il miele
Perché fa bene alla gola e placa la tosse ed è buono. Ma, soprattutto, perché è buono.

4. I libri
Oh, io quando sono ammalata riesco a leggere, ma mi addormento dopo tre minuti e mezzo di film. Mi bruciano gli occhi, il senso di passività nel guardare la tv si trasforma irrimediabilmente nella condanna a un sonno centenario come ne La bella addormentata nel bosco. Solo che a svegliarmi ci penso da sola perché tanto non riesco a respirare. E allora meglio stare sveglia e leggere.

Questa volta a tenermi compagnia non è stato un semplice libro, ma un libro molto bello, una storia che mi ha trascinata nella Roma est che potrebbe essere la periferia di qualsiasi città, solo che qui siamo a Roma, la capitale delle contraddizioni e delle antinomie. Cleopatra va in prigione è il romanzo, edito da minimum fax, di Claudia Durastanti, nata nel 1984 e con una capacità di scrittura dalla componente emotiva forte e realistica, che ricorda i romanzi americani, quelli con le storie vere, che puoi sentire addosso anche dopo anni che le hai lette. Io so già che ripenserò a Cleopatra va in prigione anche nei prossimi mesi, ripenserò a Caterina – la protagonista – e al suo desiderio di fare la ballerina classica e non quella di un night club gestito dal fidanzato, Aurelio, finito a Rebibbia con l’accusa di induzione alla prostituzione dopo una retata nel locale. Retata alla quale ha partecipato il poliziotto che poi ha iniziato a frequentare Caterina, lontano dal night club, dalle luci, dalle spogliarelliste, circondati da mille domande, dubbi e insicurezze. Caterina ci porta nella periferia in cui si vive poco e si sopravvive tanto, in cui l’infelicità non arriva mai al limite e la felicità non si capisce se stazioni all’inizio o alla fine del tunnel. Caterina sta al centro, e noi con lei.

Pagina dopo pagina ci rendiamo conto di quanto sia difficile per la protagonista trovare la felicità in mezzo agli altri e, soprattutto, da sola: sarebbe più semplice lasciarsi andare, abbrutirsi, invece Caterina attraversa i margini della città e del nostro cuore con semplicità, naturalezza, talvolta con quella ingenuità che le permette di scoprire cosa sia davvero necessario per sopravvivere. E lo fa a piedi, camminando, per avere un campo visivo maggiore e osservare ciò che la circonda, cogliendo la bellezza anche quando risulta difficile accorgersene. Proprio come quando da Rebibbia raggiunge Tor Pignattara, una passeggiata di circa 8 km in più di un’ora e mezzo: ha bisogno di quei chilometri e di quel tempo per staccarsi completamente dalle sbarre del carcere e da Aurelio e finire in un appartamento come tanti tra le braccia accoglienti del poliziotto. Non è una classica storia d’amore, perché il vero triangolo sentimentale è tra il passato, il presente e il futuro di Caterina. La malinconia  che avvolge il romanzo non diventa mai rassegnazione, ci tiene per mano mentre vediamo farsi avanti la voglia di riscatto e resistenza dei protagonisti.
Io, quella malinconia, la sento ancora dentro, che cresce poco alla volta non appena ripenso alla storia di Caterina, di Aurelio e del poliziotto. Ma come loro continuo a sopravvivere. Anche alla prima influenza di stagione.

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