La prima cosa che ho fatto quando ho comprato Rockaway Beach di Jill Eisenstadt, pubblicato da Black Coffee, è stata vedere dove si trovasse esattamente questa Rockaway Beach, che ha ispirato una canzone dei Ramones e fatto da set per il film di Woody Allen Radio Days. Secondo le coordinate geografiche gentilmente offerte da Google Maps, si tratta di una spiaggia del Queens, a New York, una lunga striscia di sabbia che si distende per 10 km sull’Oceano Atlantico. Qui negli anni Ottanta un gruppo di amici si fa andare bene la spiaggia, il mare, le feste, le droghe e il lavoro da bagnini per reprimere l’esplosione di malessere che prima o poi toccherà a ognuno di loro. L’estate che viene descritta all’inizio del libro è quella decisiva: qualcuno deciderà di lasciare Rockaway per andare al college, qualcuno continuerà a trascorrere le giornate con tutta la monotonia tipica di un posto di mare durante la bassa stagione.
Alex sembra essere la più convinta a cambiare rotta, a prendere in mano la sua vita e provare a darle un senso, così si iscrive all’università del New England per studiare Antropologia, cercando di capire qualcosa sulle società primitive, dato che con quelle attuali non trova proprio un punto di contatto. Dopo aver chiuso la storia con Timmy, che non si rassegna a quell’amore così distratto e sfuggente e che la riempie di lettere apparentemente sconclusionate, ma in realtà cariche di solitudine (in gergo tecnico diremmo che “è rimasto sotto”), si allontana anche dalla sua migliore amica, Peg, e dal resto del gruppo. Il desiderio di evasione si trasformerà in solitudine, un sentimento che farà capolino tra le pieghe della nostalgia, e non sarà di certo una festa universitaria a cancellare le radici di una diciottenne del Queens (quasi) pronta a fare i conti con se stessa e con l’età adulta.
A parte alcuni esilaranti episodi tra i protagonisti, non ci sono colpi di scena o situazioni che stravolgono il lettore, siamo abituati alle scene di sesso, droga e rock ‘n’ roll tra adolescenti annoiati, rassegnati e perennemente fuori luogo. Quello che colpisce di questo romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1987, è la scrittura di Jill Eisenstadt, molto simile a quella di Bret Easton Ellis: diretta, pungente, senza fronzoli, sebbene a volte troppo minimal. Del resto, la scuola è la stessa, entrambi hanno frequentato il Bennington College, nel Vermont, insieme ad altri illustrissimi della letteratura come Jonathan Lethem e Donna Tartt. Un gruppetto niente male, considerando il periodo degli anni 80, gli esperimenti editoriali sulla pelle di protagonisti immaginari (ma probabilmente anche realmente esistiti) che si barcamenavano tra gli studi, le droghe e le feste alcoliche. Si era creato addirittura il Literary Brat Pack, un gruppo di scrittori impegnati a descrivere le vite di una gioventù che condivideva sogni e illusioni. Forse una parte di quel periodo la ritroviamo anche in questo Rockaway Beach, tanto che nell’ultima pagina si possono leggere i ringraziamenti «tardivi a tutta la gente di Rockaway che ha condiviso con me la propria storia e la propria vita. E a Bret Easton Ellis per aver illuminato il cammino». A noi non resta che seguire questo cammino, accompagnati da storie piene di realismo e disincanto, ma che hanno reso grande parte della letteratura americana contemporanea.