Ho aspettato un po’ prima di scrivere la recensione di A misura d’uomo, romanzo d’esordio di Roberto Camurri, pubblicato da NN editore. Ho aspettato il momento giusto per riordinare i pensieri, farmi qualche domanda esistenziale come impone il peggior cliché di chi ha superato i trent’anni e farne qualcuna direttamente a Roberto durante l’incontro alla libreria Gogol & Company. Parto subito dalla fine, dal mio spoiler preferito: il libro mi è piaciuto. Me ne sono resa conto mentre lo leggevo, non è stato necessario capirlo con l’ultima frase nell’ultima pagina, che rimane comunque un piccolo capolavoro di sensibilità umana. Credo che in Italia sia uno dei migliori esordi letterari degli ultimi anni.
A misura d’uomo è un romanzo che procede per quadri: ogni capitolo è un racconto che può essere letto a parte, anche se la grandezza di questo libro sta proprio nella coerenza delle storie, delle vite dei personaggi che si intrecciano, nei capitoli che seguono un ordine naturale e pieno di emotività. Ogni racconto ha un titolo che riprende un elemento naturale, si parte dai Sassi, dalla Polvere, dalla Neve, fino ad arrivare al Cielo, al Mare, in un crescendo di inquietudini che vedono uno spiraglio di speranza sul finale. I protagonisti principali sono Davide, Valerio e Anela, legati dall’amicizia, dall’amore, dai sensi di colpa, ma soprattutto dai ricordi. Non si tratta di un triangolo, a me hanno fatto venire in mente un trittico: tre personalità separate, tre modi diversi di stare al mondo, tenute insieme da un’unica cornice. Fanno parte della stessa storia, ma ognuno si ritaglia il proprio spazio di azione tra una pagina e l’altra. I rapporti conflittuali si alternano alle gite al mare, i pensieri che bussano di notte lasciano il posto ai bicchieri di vino che scivolano sempre sullo stesso bancone, gli innamoramenti improvvisi prendono nel tempo la forma della consapevolezza e dell’accettazione.
Sullo sfondo vediamo Fabbrico, piccola città di provincia nella bassa emiliana che, come tutte le province, regala la stessa dose di sogni e illusioni, una volta varcata la porta dell’età adulta. I personaggi del libro – in primis, Maddalena, la donna dai sentimenti taciuti, perfetta per essere la figura centrale di un altro romanzo – cercano di non lasciarsi soffocare da tutti i limiti che può avere una provincia di seimila anime: a volte ci riescono, a volte vengono trascinati dall’angoscia che solo una distesa infinita di campi può dare. La provincia, quasi come se fosse una caratteristica dell’essere umano, emerge anche quando non è la vera protagonista dei racconti, perché è sempre lì, scorre piano nelle vene, ed è pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Ho pensato a quale potesse essere la parola chiave di questo libro e mi è venuta in mente “assenza”: ci troviamo sempre di fronte a qualcosa o a qualcuno che non c’è, all’assenza di un sentimento, alla mancanza di futuro, alla perdita di un amore, alla privazione di un ricordo.
La bravura di Camurri – nato nel 1982 proprio a Fabbrico – non sta solo nell’aver raccontato storie al limite dell’invisibilità, ma nel modo in cui ha ordinato le idee, mettendole nero su bianco. Poche volte ho trovato il titolo di un libro così adatto al contenuto: a misura d’uomo, proprio come sono misurati i drammi ed equilibrata la scrittura. Alcune pagine sono un esercizio ben riuscito che riporta alla memoria i grandi della letteratura americana, come il Carver di Cattedrale. Non ci sono giudizi dall’alto, rinunciando alle subordinate si evitano le contrapposizioni, le frasi sono brevi ma dalla pennellata pesante, le parole sono selezionate per non essere dimenticate facilmente. “Nella fragilità c’è la mancanza di giudizio”, dice Camurri, ma io ho trovato anche tanta forza in alcuni personaggi per affrontare i momenti più bui della vita, talvolta lasciandosi trascinare dalle piccole cose quotidiane o cercando l’appoggio di chi è ancora in piedi a guardare l’orizzonte infinito della pianura emiliana, circondato solo dal paesaggio, dai trattori, dalle case in mezzo alla campagna e dalle emozioni che continuano a lottare per restare vive, pure e intatte.
CITAZIONI
Cammina lungo quelle strade che una volta erano di ghiaia e che adesso sono di asfalto. Una volta lungo quelle strade le biciclette lasciavano i segni delle sgommate, adesso cammina e osserva le crepe sul catrame, in paese si diceva che il terreno non avrebbe tenuto se le avessero asfaltate, le avevano asfaltate lo stesso, adesso ci sono le crepe e Valerio le guarda, poi guarda l’insegna del supermercato che si alza all’orizzonte dandogli il benvenuto, vede il canale e, là in fondo, quella che una volta era casa sua; costeggia l’argine calpestando l’erba ghiacciata, le mani fredde come i piedi, si ricorda di quell’inverno quando erano scesi per camminare sul ghiaccio, da ragazzini, quando Paolo era quasi annegato per colpa loro.
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Perché vi sposate? gli avevano chiesto.
Rispondevano con l’unica risposta possibile, l’unica sensata.
Ci amiamo, dicevano.
Era vero.
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Le case editrici rifiutavano le sue prove. All’inizio dissero che avrebbe dovuto affinare la tecnica, che c’era passione nel suo tratto, ma non abbastanza maturità, e lui quella maturità la cercava, cercava di affinare la sua tecnica, studiava, disegnava, ma più studiava e più disegnava, più la passione calava e più la passione calava più lui si intristiva, e più lui si intristiva, più capiva che quella sicurezza che aveva nel guardare la fede al suo anulare era soltanto un’illusione.
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Si davano appuntamento quando si salutavano in fabbrica, avevano imparato a memorizzare l’uno i turni dell’altro, nessuno li guardava, era come se fossero invisibili, sembrava che a Fabbrico a nessuno importasse che quei due uomini passassero le loro giornate a ubriacarsi quando il sole era ancora alto nel cielo, quando i bambini erano a scuola.
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Non ne hanno mai parlato della malattia, non hanno mai parlato di niente, a lui questo piace, la mancanza di domande, il restare nel presente, il non guardare al futuro, o al passato; ama la semplicità, l’equilibrio fragile che si sono costruiti.
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Guarda i campi che si perdono fin verso l’orizzonte lucido e infinito, lo sa che là in fondo ci sono le montagne, lo sa che da qualche parte la pianura finisce, lo sa ma non gli sembra vero, gli sembra che quella pianura, il giallo dei campi, il verde del foraggio, il marrone della terra disossata, sia tutto quello che ha, sia, in fin dei conti, quello che è.
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Vorrebbe capire cosa è cambiato, perché lui oggi è così. Sa, però, che a volte il tempo per le parole è un tempo sbagliato e allora resta zitta e aspetta che lui si svegli e la porti al mare.
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