Avevo la faccia da albanese, a detta di tutti, ma io non sapevo com’era una faccia da albanese, la mia mi sembrava normale e francamente anche bella.
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I parenti di Bashkim in un certo senso erano orgogliosi della sua ragazza italiana. Quando lei andare a trovarli, la trattavano con i fiocchi, tutti pronti a servirla, a interessarsi di lei, e nessuno parlava più albanese ma solo in italiano, o almeno ci provavano. La invitavano sempre alle feste e Maddalena ci andava. Non le dava fastidio quando a cena insistevano che mangiasse, né quando lo zio faceva le sue solite battute maschiliste. Anzi, aveva spiegato che non c’è bisogno di dire in continuazione all’ospite di mangiare perché «in Italia nessuno si vergogna di mangiare, se uno ha fame mangia, altrimenti no».
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Il giorno del funerale era nuvoloso ma non pioveva. Per Marash era un giorno come un altro, se non per il fatto che al suo risveglio aveva trovato il cortile pieno di persone, tutti vestiti di nero e le facce cupe, e il gatto disorientato. Invece di stare in mezzo a quella gente che fumava e piangeva, Marash aveva preferito andare a giocare. Ci misero più di una settimana ad accorgersi che aveva smesso di parlare.
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Quando guardava il soffitto Mrika vedeva oltre; vedeva se stessa, pensava a ciò che avrebbe o non avrebbe fatto, progettava i giorni. Quella mattina, però, nel soffitto non riusciva a vedere niente.
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Il problema non stava nel sentirsi infelice, lo era sempre stata. Il problema era quell’infelicità senza dolore, senza un amore.
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La gente si diverte alle feste, invece lui alle feste finiva sempre per fare gesti che non sapeva se definire inconsulti o rivelatori. Come in quel momento che salì sul parapetto e guardo giù. Sette decimi di secondo. Era il tempo che ci avrebbe messo a percorrere otto piani.
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Appena ho letto il titolo del libro di Elvis Malaj, primo autore italiano di origine albanese di Racconti edizioni, mi è venuta in mente la Puglia. Dal tuo terrazzo si vede casa mia non è un semplice titolo, né una delle tante frasi all’interno di uno dei racconti: è la storia di due Paesi, l’Albania e l’Italia. Mi ha portato indietro nel tempo, quando con una giornata di cielo azzurro, venti a favore e mare piatto, potevo vedere le montagne dell’Albania dalle spiagge che si trovano lungo la costa adriatica del Salento. Io le ho viste per anni, ma lo sapete, gioco in casa. Eppure ogni volta era una sorpresa, una scoperta, un gioco di forme che ti obbligava a strizzare gli occhi per scrutare i contorni e renderli più nitidi, più vicini. “Oggi si vedono le montagne dell’Albania”, e tu ti ritrovavi a fissarle per un tempo indefinito, fermo immobile sulla riva con le mani dietro la schiena. Potrebbe essere l’attività parallela all’osservazione dei cantieri, ma con il mare di mezzo concordiamo tutti che il tempo trascorso sia qualitativamente superiore.
In questi dodici racconti Elvis Malaj ci fa salire sul terrazzo di casa nostra per mostrarci come sono fatte quelle montagne, che aria si respira, che gente ci vive, ce le fa trovare sotto gli occhi quando capiamo che un pezzo di quelle montagne è stato messo in valigia e portato in Italia. Non c’è bisogno del cielo terso per assistere allo spettacolo delle vite degli altri e al senso di inadeguatezza che proviamo tutti lontani dalla nostra comfort zone. Come un cantastorie moderno, Elvis racconta cosa si prova il primo giorno di scuola in un Paese straniero – solo perché gli altri hanno deciso che sia più semplice mettere paletti e delimitare i confini -, la prima volta con una ragazza, un viaggio in treno con uno sconosciuto, la gioia di una festa, la voglia di vacanze e il dolore per un amore mai nato. I protagonisti sono albanesi, le storie ambientate in Italia, ma anche altrove, perché la sensazione di estraneità nel mondo non ha nazionalità. La scrittura ritmata, spesso ironica e “alla Trainspotting” non lascia spazio all’analisi dei problemi: ce ne sono, e anche tanti, tuttavia le pagine sono dedicate ai personaggi, agli uomini che si sono persi tra le vie di città che hanno imparato a conoscere, cercando il punto di contatto tra due mondi apparentemente lontani.
Io nel titolo di questo libro ho trovato tutto: il desiderio di condivisione e di conoscenza, la stupidità dei pregiudizi, il richiamo a osservare con occhi attenti ciò che ci circonda, perché forse qualcuno lo sta già facendo nella nostra direzione. E non c’è cosa più bella di mettere la mano sulla fronte per ripararsi dal sole e stupirsi nel vedere i contorni delle montagne a due passi da noi.