Comunque se osservo da fuori non mi pare che l’amore sia questa gran cosa. Passare da uno stato di totale mancanza di controllo a una depressione con tragedia finale. Perché poi si sa che finisce tutto e su quella fine si gioca quasi sempre il tempo più lungo della storia. Te la trascini più di quanto è durata. Questo lo dico perché in effetti qualcosa di simile all’innamoramento mi è capitato. Ma si tratta di musica e quindi non crea un vero e proprio precedente.
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Tranne in rari momenti, sono sempre stata adulta. Lo vedo anche nel confronto con le mie compagne di scuola, non sono giovane, o almeno non nel senso comune e questo credo dipenda dai guai che ti capitano nella vita.
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La Mamma è sempre alla ricerca di qualcosa. Appunti, foglietti, penne, chiavi, fotografie. Oggetti del tutto privi di utilità immediata ma capaci di catalizzare la sua attenzione e le sue energie. Di solito lei cerca, io trovo.
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Mi piacerebbe trasformarmi in pianta per qualche tempo, mi ha detto una volta la Mamma, così sarebbe facile capire chi ha davvero cura di me. Solo io, le ho risposto. È vero, mi ha sorriso, hanno cura di noi solo le persone che dipendono da noi.
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I ricordi vanno salutati con un sorriso, dice la Mamma quando pianta un seme dell’addio. Ma di solito non sorride mentre lo fa. Lei si prende cura di ciò che è stato attraverso gli alberi. Nessuno può morire, nessuno ti può abbandonare davvero se hai un seme germogliato a ricordarti della sua esistenza.
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Vi ricordate quando da adolescenti la nostra vita era tutta racchiusa nei testi delle canzoni? Sembrava che ogni band stesse parlando di noi, che ogni frase fosse ispirata a persone realmente esistenti. Noi, appunto. Anni in cui le esperienze erano ancora poche (ma intense), non si distinguevano del tutto le emozioni e si viveva in un continuo vortice di amore/odio. Ignoravamo che quelle esperienze ci avrebbero accompagnato per sempre, guidato in scelte più grandi di noi e fatto rimpiangere la persona che eravamo. Accadeva di commettere errori consapevolmente, pensando alle conseguenze una volta su tre, perché tanto poi ci si chiudeva in camera e si metteva la musica a tutto volume. Anche con gli auricolari doveva essere al massimo, era un patto tra noi e quelli che ci facevano sognare e piangere allo stesso tempo con dei ritornelli che, a risentirli oggi, fanno lo stesso effetto ma con l’aggiunta di un sorriso malinconico. Per chi ha avuto la fortuna di vivere un’adolescenza spensierata, sa di cosa parlo, per tutti gli altri mi dispiace. Del resto, per me dopo la vita è stata abbastanza un disastro, quindi siamo pari, ma questa è un’altra storia.
In Chi ha bisogno di te di Elisabetta Bucciarelli, Skira editore, c’è una adolescente, Meri (sì, con la “i”, non è un refuso), e c’è la musica, quella dei Queen. Più di tutto c’è un desiderio che viene rincorso fino all’ultima pagina: innamorarsi. Vivere quella sensazione di euforia incontenibile, perdere la testa e smettere di dormire, “contemplare almeno una volta le ragioni ignote della felicità”. Insomma, quello che ci succedeva a 14 anni per il compagno di scuola più grande o per uno dei componenti di una boyband. Meri viene accontentata, inizia a ricevere dei messaggi anonimi scritti a penna. In ogni messaggio c’è una frase di una canzone dei Queen, il suo gruppo preferito, quello che ha imparato ad amare grazie alla Mamma (anche questo non è un refuso, la “M” è volutamente maiuscola) che glieli ha fatti ascoltare fin da piccola, continuando a spiegarle le capriole della vita attraverso i loro pezzi. Ma adesso c’è qualcun altro che le parla attraverso i testi, le scrive “Sombody to love” e “Spread your wings”, e Meri decide che è arrivata l’ora di crederci, di innamorarsi e di aprire le ali verso qualcosa di ignoto e affascinate allo stesso tempo.
Elisabetta Bucciarelli ha saputo spiegare i legami di una famiglia, a partire dal fragile e metodico rapporto madre-figlia basato sulle regole della semina, la stessa che portano avanti insieme sul terrazzo in cui per ogni momento della vita (e per ogni persona) c’è un inizio e una fine a forma di vaso e di albero. I capitoli destinati al rapporto padre-figlia, invece, sono come schegge sul pavimento: puoi evitarle, ma se ne calpesti una si apre inevitabilmente una ferita.
A ogni dolore, a ogni battito accelerato, c’è la musica a riportare l’equilibrio, a lanciare un’ancora di salvezza, a rispondere ad alcune domande e, a volte, a farne nascere altre. Perché il bello di essere adolescente è che non ti stanchi di farti domande, così come non ti stanchi di trovare risposte, anche quando non ti piacciono, e allora ne cerchi altre che possano darti la sicurezza in cui rannicchiarti contenta. E Meri le ascolta bene le canzoni dei Queen, sa rispondere alla domanda “Who wants to live forever?”. Lei vuole vivere per sempre.