Quando una bambina, ancora troppo inconsapevole (secondo me) della complessità della vita, si avvicinò a mia figlia a un campo scuola e indicandomi le disse: ma quello è tuo nonno? Ma non tanto questo, quanto l’entusiasmo incontenibile di mia figlia.
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Sei su whatsapp, vedi che l’altro “sta scrivendo”, ti sta rispondendo, aspetti, e non arriva niente. Ci ha ripensato.
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Quella volta che lei mi ha detto: io posso immaginare di vivere senza te, tu non puoi immaginare di vivere senza me.
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Quando mio figlio dice: papà, ma stai sempre davanti al computer! Mi dispiace molto. Non perché lui si sente trascurato, ma perché a quel punto devo per forza spegnere il computer. Almeno per un po’.
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Ognuno di noi è fatto di un equilibrio finissimo di tutte le cose, belle e brutte. E ho imparato che – come per i bastoncini dello shangai – se tirassi via la cosa che meno mi piace della persona che amo, se ne verrebbe via anche quella che mi piace di più.
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Alla fine ho ceduto al libro di Francesco Piccolo. Più che al libro in sé, ho ceduto al titolo: Momenti di trascurabile infelicità. Chi mi conosce sa che sono in grado di raggiungere livelli di pessimismo che in confronto Leopardi e i poeti crepuscolari mi avrebbero spicciato casa. Ho letto questo libro in un momento in cui l’infelicità non era per nulla trascurabile, anzi, e leggiucchiare le piccole mestizie quotidiane di Piccolo mi ha strappato un sorriso. Anche perché alcune coincidono con le mie, solo che io ne ho molte di più. E forse anche Piccolo ne ha molte di più, ma a una certa il signor Einaudi gli ha detto: «Vabbè, Checco, facciamo che ci fermiamo qui, il resto te lo tieni per te, o lo scrivi sul diario segreto». Immagino che essere chiamato Checco sia un’altra trascurabile infelicità per lo scrittore, e per questo mi sento in dovere di porgere le mie più umili scuse.
A parte le citazioni che vi ho scritto in alto, ce n’è una che merita un’attenzione particolare:
Faccio un regalo. Dico: se non ti piace lo puoi cambiare. Mi risponde: ma che dici, mi piace tantissimo, è proprio il colore che preferisco, come hai fatto a indovinare? E il giorno dopo va a cambiarlo.
Ecco, a me succede più o meno la stessa cosa nella vita. Dico: se non ti piaccio, possiamo chiuderla qui e frequentare altra gente. Mi risponde: ma che dici, mi piaci tantissimo, sei la donna della mia vita, come potrei vivere senza di te? E il giorno dopo mi lascia con un messaggio su whatsapp.
Adesso, premettendo che non mi è mai successo così come l’ho descritta, nel senso che almeno se devono mollarmi, me lo dicono in faccia, la mia vita è piena di episodi del genere. Perché la gente non dice subito cosa non le va bene? Si vergogna? Ha paura? Inconsciamente sa che sta per fare una cazzata, ma alla fine la fa lo stesso, senza pensare alle conseguenze? Perché prima dice una cosa e poi agisce in modo del tutto contrario?
Io vorrei che i problemi si potessero risolvere insieme, che le infelicità di entrambe le parti – perché anche dire “mi fa schifo questo colore”, provoca un certo disagio, a dirla tutta – si potessero incontrare e annullare reciprocamente, altrimenti facciamo come dico io, e tu stai lì zitto e buono. Ho una doppia natura: democratica e nazista allo stesso tempo. Bello, no?
Poi alla fine non si risolve mai la questione, la vita non ci viene incontro, l’infelicità ci assale, e assistiamo con desolazione a gente che va, gente che torna, gente che forse era meglio il colore che mi avevi preso tu. Eh.
Credo che il concetto sia abbastanza chiaro, quindi adesso procediamo spediti verso le mie irrinunciabili afflizioni.
1. Quando in spiaggia passo 20 minuti a sistemare l’asciugamano e, dopo averlo steso perfettamente, passa il cretino di turno che lo ricopre di sabbia. E io di nuovo mi alzo, sbatto l’asciugamano, lo stendo, ecc. ecc. Poi mi domando perché non abbia preso un lettino.
2. Vado al ristorante, scelgo un piatto che sembra buonissimo, chiedo se ci sia del pomodoro e se sia possibile averne uno senza. Non è mai possibile. Fanculo le allergie.
3. Ho mal di testa, mal di denti, contratture, dolori ovunque. E quella se ne esce con i rimedi omeopatici. Io di naturale prendo solo l’acqua, capiamoci.
4. Finisco di lavorare, mi sloggo da qualsiasi social network, chiudo le 42 schede di chrome, salvo il salvabile, comprese le ultime vite umane, spengo il pc, prendo la giacca e saluto tutti. Niente, arriva da fare una modifica urgentissima subito ASAP mortacciloro. E allora tolgo la giacca, apro il pc, mi loggo nuovamente ovunque e smadonno. Poi faccio la modifica richiesta.
5. Leggere libri che poi non mi piacciono. Finirli e inizarne altri che sono ancora peggio. Ultimamente sta succedendo spesso, forse non sono più in grado di selezionare, o forse state solo scrivendo libri indecenti.
6. Programmare una corsa dopo il lavoro, con tanto di outfit mentale e chilometraggio da raggiungere in tot tempo. La playlist è pronta, sono carichissima. Esco dall’ufficio e inizia a diluviare. E sono pure senza ombrello.
7. Pomeriggio da Zara per rinnovo mensile dell’armadio. Quante cose fighe che sono uscite, vado a provare questi 265 capi che renderebbero Cara Delevingne fiera di tutti gli accostamenti possibili ai quali ho pensato tra un reparto e l’altro. Entro nel camerino, e almeno 10 vestiti su 9 mi fanno sembrare pronta per partorire la cucciolata del secolo. E non è mai colpa dello specchio.
8. “Mi piaceva di più l’altro profumo”.
9. Finalmente mi ha invitata a uscire e mi passa pure a prendere in macchina. Salgo, e dopo un paio di secondi mette Vasco. Variante: salgo a casa sua e nella libreria ci sono libri di Baricco, Paulo Coelho e Come smettere di fumare se sai come farlo. Resto single a vita, non ci sono problemi, davvero.
10. Piangere guardando Grey’s Anatomy. Piangere tantissimo.
11. Quando mi dicono “che spesa triste”. E io, invece, avevo preso tutte le cosine che mi piacciono.
12. Oggi il mio piano editoriale prevede la pubblicazione di un selfie su Instagram. Passo un’ora a scegliere il filtro giusto, ma non lo trovo, non so decidermi, non c’è. Realizzare che non è che non ci sia il filtro giusto, è che sono proprio venuta di merda nella foto.
Avrei tante e tante altre mestizie da raccontarvi, però il mio editore mi ha appena detto che può bastare così. Altrimenti c’è sempre il diario segreto.