La mia recensione pubblicata su Mangialibri:
«Quando partii per Baghdad, nel dicembre 2005, sapevo bene di correre un rischio. Due giornalisti francesi erano già stati presi in ostaggio in quel periodo, un italiano e un inglese erano stati catturati a loro volta e uccisi. Io difendo la posizione secondo la quale i giornalisti devono continuare ad andare in questi paesi malgrado il pericolo». Florence Aubenas, giornalista de Le Nouvel Observateur, racconta i suoi reportage e le sue esperienze nel mondo del giornalismo davanti a una platea di ragazzi. Spiega cosa significa essere un inviato di guerra, sempre con lo zaino pronto per la partenza, la paura e la perdita di speranza quando capita di essere rapiti e rinchiusi in celle strettissime con una temperatura che sfiora i 50 gradi, l’amore per un mestiere che – nonostante i rischi – si continua a praticare con lo stesso entusiasmo del primo giorno. Florence Aubenas ha fatto una scelta tanti anni fa: scrivere. Raccontare le guerre e i massacri avvenuti in Ruanda, in Kosovo, in Afghanistan. E mettere da parte tutto il resto, la famiglia, i figli, gli affetti. «Questo mestiere era diventato più forte di me, aveva invaso tutta la mia vita».
Proprio come si legge nel sottotitolo di questo libro, ci troviamo di fronte a una piccola conferenza sul giornalismo. Florence Aubenas, classe 1961, possiede un forte carisma che le ha permesso di rispondere alle domande di alcuni giovani studenti e aprire così un interessante dibattito sul futuro del giornalismo. Ci tiene a precisare che tutti i reporter sono giornalisti, ma non tutti i giornalisti sono reporter. Questi ultimi sono “specialisti dell’inatteso”, che conducono sicuramente una vita più avvincente. Ma nello stesso tempo, devono fare i conti con le pressioni politiche e le questioni economiche. La giornalista risponde con schiettezza e senza giri di parole ai ragazzi sempre più incuriositi da questo lavoro, che da sempre è in grado di affascinare i più giovani. Interessante, poi, la postfazione di Paolo Barbieri, in cui viene affrontata la crisi del giornalismo che deve fare i conti con i social network, con il villaggio globale nel quale ormai tutti sanno tutto di tutti, e con gli alti poteri politici, sindacali ed economici. I giornali hanno davvero i giorni contati? «Fino a quando ci saranno giornaliste e giornalisti come l’inviata di Libération e Le Nouvel Observateur, rimasta oltre 157 giorni ostaggio dei suoi rapitori in Iraq, c’è speranza che il cronista resti il watchdog, il cane da guardia del potere e non quello di compagnia come troppo spesso accade».