«Si va a scuola per trovare un lavoro, e si lavora per potersi riposare. Perché non riposarsi fin dall’inizio, allora?»
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«Ci sono sei miliardi di uomini sulla Terra. Sono già troppi, ma nel 2005 saranno otto e mezzo. La cosa migliore che possiamo fare per il futuro del mondo è morire!»
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Non c’è niente che abbia senso,
è tanto tempo che lo so. Perciò
non vale la pena far niente,
lo vedo solo adesso.
«Pierre Anthon lasciò la scuola il giorno in cui scoprì che non valeva la pena far niente, dato che niente aveva senso».
Ma Pierre Anthon non sa che qualcun altro avrebbe fatto di tutto per dimostrare il contrario, che nella vita esiste qualcosa che abbia un significato. Inizia così a Tæring, un piccolo centro della Danimarca, l’avventura di un gruppo di ragazzini di 12 anni che, messi alla prova, si troveranno obbligati a fare i conti con i dubbi e le incomprensioni dell’età adulta, con quelle domande a cui non si riesce a dare risposta neanche quando a diventare bianco è l’ultimo capello rimasto sulla testa.
Mentre Pierre Anthon si rifugia sul ramo di un susino, solitario, come il miglior bambino nichilista, i compagni di classe credono di aver trovato il modo per fargli cambiare idea sul senso della vita: donare ciò che è loro più caro, oggetti pregni di significato che rendono importante quella tenera esistenza ancora in bilico tra l’infanzia e l’adolescenza. Ed ecco formarsi la catasta del significato: un paio di scarpe verdi con il tacco, una bicicletta, un telescopio astronomico, un paio di stampelle, una canna da pesca, un criceto. Il passaggio dagli oggetti che simboleggiano una persona alle esperienze della persona stessa, però, è brevissimo. Nella catasta finiscono un tappeto per le preghiere, una bandiera ultranazionalista, una tomba profanata, la testa mozzata di un cane, la perdita della verginità, un crocefisso con Gesù inchiodato a una croce di legno di rosa. Non si tratta più di semplici oggetti, ma di un vissuto che rende l’esistenza di questi piccoli quasi adulti piena di significati e di valori (la fede nella religione o nella patria, il rapporto con la morte, la scoperta della sessualità).
E, intanto, Pierre Anthon è sempre sul susino che grida: «È tutto inutile! Perché tutto comincia solo per finire. Nel momento in cui siete nati avete cominciato a morire. Ed è così per tutto».
Ma è troppo tardi, ormai. Quello strano gioco delle consapevolezze è iniziato e sta per concludersi tragicamente. Perché quando si affrontano le insicurezze, le contraddizioni e i dilemmi dell’animo, poi non è semplice trovare risposte adeguate, soluzioni, significati. E il più delle volte, purtroppo, si finisce per perdere la speranza nel futuro.
«Piangevamo perché avevamo perduto qualcosa e trovato qualcos’altro. E perché è doloroso, sia perdere che trovare. E perché sapevamo che cosa avevamo perduto, ma non eravamo ancora capaci di definire a parole quello che avevamo trovato».
Non ci sono moralismi in questo breve romanzo di formazione di Janne Teller, scrittrice danese ed ex inviata dell’Onu in zone di guerra. È tutto così lucido e lineare che in certi momenti ci domandiamo se stiamo leggendo la storia di un gruppo di ragazzini o di adulti, data la ricerca spasmodica della verità e dell’affermazione. Sarà il motivo per cui il libro ha suscitato tante polemiche, fino ad arrivare alla decisione di escluderlo dalle vendite in alcune librerie francesi e spagnole?
Secondo me, non sarebbe male se per i compiti delle vacanze comparisse tra i testi di lettura anche questo Niente di Janne Teller. Accanto alla solita e immancabile trilogia di Italo Calvino, ovviamente.