E così, in quel bar, quando sono arrivate le nostre birre io e Claire abbiamo riso, sapendo che poco dopo avremmo trascorso un’intera serata in compagnia dei coniugi Lohman: quello era il momento più bello della serata, e da lì in poi le cose non avrebbero potuto che peggiorare.
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Di cosa parlate, quando andate a cena fuori con amici o familiari? Del mobbing che vi fanno al lavoro? Dell’ultimo libro letto? Della cugina rimasta incinta a 16 anni? Dell’amica che non è a dieta, ma in tisanoreica (con scarsi risultati)? Del binomio amore/odio tanto caro a Schopenhauer?
Be’, i Lohman si sono dati appuntamento in un ristorante di lusso per parlare del futuro dei loro figli, adolescenti che si sono lasciati andare a meschini atti di violenza nei confronti di una barbona che dormiva in una cabina del bancomat. Sono stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza e, come ci si aspetta di questi tempi, qualcuno ha caricato il video del pestaggio anche su Youtube. Fortuna vuole che i volti siano nascosti dai cappellini, le immagini sfocate, per cui risulta difficile riconoscere esattamente Michael e Rick. Ma ai genitori non possono sfuggire certi particolari, sono gli unici capaci di riconoscere i lineamenti, le scarpe da ginnastica, la risata del proprio bambino. E così due coppie di genitori si ritrovano a decidere come affrontare questo problema: tacendo, senza cadere nello scandalo, nella speranza che tutto venga dimenticato il prima possibile, oppure denunciando i propri figli nel rispetto della legge, aprendo loro le porte del carcere e minando l’intero equilibrio familiare?
L’apparente armonia e il perbenismo non bastano per nascondere il cinismo e l’infelicità che ormai si sono insinuati nelle due famiglie. In fondo, «tutte le famiglie felici si somigliano, ciascuna famiglia infelice è infelice a suo modo», come recita l’incipit di Anna Karenina di Tolstoj. E la serenità dei Lohman sarà pagata a caro prezzo.
L’intera narrazione è affidata a Paul, il padre di Michael, e ci sembra di leggere un flusso di coscienza che sale di tono fino a raggiungere il culmine della drammaticità in un finale inatteso, un finale in cui non c’è traccia di moralità, né di alcuna responsabilità civile.
Una storia che – per usare un termine ormai abusato – non è politically correct, ma che scuote la coscienza, facendo riflettere sulla condizione di genitore e, ancor di più, su quella di essere umano, con tutte le sue debolezze, insicurezze e i suoi improvvisi smarrimenti di valori. Sicuramente da qualche parte rimane sempre una cicatrice, ma una cicatrice non impedisce di essere felici.