«Io non posso offendere un uomo senza soffrire, si tratti pure anche del mio nemico»
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«La politica non è il sogno d’un poeta. Perché credete voi che abbiam fatto la guerra? Per il loro vecchio Maresciallo?» Hanno riso ancora: «Noi non siamo dei pazzi né degl’imbecilli; ci si presenta l’occasione di distruggere la Francia, e la distruggeremo. Non soltanto la sua potenza: anche la sua anima. Soprattutto la sua anima. La sua anima è il pericolo più grande. È questo il nostro lavoro in questo momento: non vi fate illusioni, mio caro! La faremo marcire con i nostri sorrisi e le nostre lusinghe. Ne faremo una cagna strisciante»
Francia, Seconda guerra mondiale. Non sentiamo lo scoppio delle bombe, non leggiamo di corpi dilaniati, non assistiamo a torture fisiche. Ma ci troviamo, comunque, di fronte alla distruzione che solo una guerra è capace di produrre. È una distruzione dell’animo, che non arriva all’improvviso, ma annienta lentamente fino all’inesorabile e letale colpo di grazia. Vercors, ovvero Jean Bruller, nato come disegnatore satirico, ci regala una manciata di pagine fatte di frasi brevi, secche, dal ritmo veloce e incalzante. Un racconto scritto «con il piede straniero sopra il cuore» nel 1941 e pubblicato sulla rivista clandestina “La pensée libre” nel 1942.
L’idea nacque da un fatto realmente accaduto a Bruller durante il periodo dell’occupazione nazista in Francia. Mentre era per strada, un ufficiale tedesco gli aveva sorriso. Un gesto inaspettato, al quale Bruller non aveva ricambiato. Dopo essersi pentito di quella scelta così istintiva, decise che al prossimo eventuale incontro avrebbe almeno fatto un cenno all’ufficiale. Quando si ripresentò l’occasione, però, lo scrittore era in compagnia di un amico “di principi fortissimi”, che non avrebbe tollerato un saluto al nemico. Bruller non poteva più tornare indietro, salutare al terzo incontro sarebbe stato interpretato come un pentimento o una richiesta di scuse. E, quindi, si impose quell’intransigenza assoluta “di voltare il capo dall’altra parte ogni volta. Il tedesco invece aveva continuato a salutarlo gentilmente per tutto il tempo in cui la truppa era rimasta al villaggio”.
Nel racconto Il silenzio del mare, uno zio e una nipote si trovano costretti a ospitare l’ufficiale tedesco Werner von Ebrennac, che da subito si distingue per i suoi modi educati e gentili. Per sei mesi, quasi ogni sera, l’ufficiale cerca di instaurare un legame con i due francesi che, invece, rimangono impassibili e silenziosi per tutto il tempo. Non facciamo altro che assistere ai monologhi di un uomo che indossa quella divisa quasi per caso, lui che aveva sognato di diventare un musicista. Werner ama la Francia, la sua cultura, i suoi Moliere, Racine, Hugo, Voltaire e, soprattutto, ama quei sentimenti umani che avrebbero potuto aiutare la Germania a diventare un paese grande e puro:
– E ci siamo fatti la guerra! – disse lentamente, crollando il capo. Tornò al camino e i suoi occhi sorridenti si posarono sul profilo di mia nipote. – Ma questa è l’ultima! Non ci batteremo più: ci sposeremo!
Sia lo zio che la nipote non restano indifferenti al fascino di questo tedesco così diverso da tutti gli altri, ma resistono fino alla fine nel loro assiduo – e comprensibile – silenzio.
Il finale racchiude l’intero significato del racconto: le contraddizioni dell’uomo, del vincitore e del vinto, i grandi ideali, la moralità, la resistenza silenziosa e il mistero dell’esistenza. Werner è il simbolo della sincerità e della speranza nel futuro. Ma è solo utopia. Perché alla fine anche il giovane annuncerà la disfatta, la sconfitta di tutti i suoi ideali, l’arrivo di quella morte che divora completamente il suo spirito.
Non resta che prepararsi e partire per raggiungere quel luogo dove tutto è perduto: l’inferno.
E non resta che pronunciare una sola parola per mettere fine all’illusione di una vita migliore: addio.