“Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l’odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri – oggi qui, domani lontano duecento chilometri – spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me”.
Eppure la vita di Roberto Saviano, e quella della sua scorta, rischia di finire entro Natale sull’autostrada Roma-Napoli. E a dirlo è il pentito Carmine Schiavone, che dal 1993 collabora con la magistratura per le indagini sul clan camorristico dei Casalesi.
Sono stati due anni duri per lo scrittore, due anni sotto scorta, due anni di reclusione forzata: “All’inizio sembra che ce la puoi fare perchè la vivi come una situazione momentanea. Ma poi, in realtà, inizi a non farcela più e a peggiorare come persona, a essere sempre diffidente, con la testa altrove, non esistono compleanni nè passeggiate. Si perde tutto: amicizie, legami. Ma avviene lentamente, perchè tu inizi a sparire lenatmente dall’orizzonte degli altri”. E sparire dall’orizzonte degli altri a 28 anni non è semplice e, a un certo punto, quella domanda, e ancor più la risposta, arriva ad ossessionarti: ne è valsa la pena? Ha sempre risposto che l’avrebbe rifatto, anche in nome delle coscienze di molte persone. Ma ogni mattina deve fare i conti con i dubbi e le incertezze sulla sua scelta e su come ha gestito tutto questo inferno. E lo dice con fermezza che il successo è il vero male di cui hanno paura le organizzazioni criminali, ovvero di qualche persona che si metta contro di loro e riesca a schiacciarli. “In una democrazia occidentale non possono impedire il diritto di parola, così tentano di impedire il successo a livello nazionale e internazionale. Tutto deve rimanere tra pochi ‘nobili’ “.
Ha deciso che andrà via dall’Italia, rivuole la sua vita. Fino ad ora è stato chiuso nella sua bara senza essere stato ucciso. Forse avrebbe dovuto allontanarsi dall’Italia già tempo fa, quando anche lo scrittore Salman Rushdie gli aveva consigliato di riprendere i contatti con il mondo e di non sentirsi continuamente legato a “Gomorra”, perchè tanto “la libertà è nella tua testa“.
Con Saviano siamo in pericolo anche tutti noi. Ossia, nel momento in cui la mafia, di qualunque tipo essa sia, calca la mano con minacce del genere in pericolo ci finiscono anche la legalità, il diritto dei cittadini, la coscienza sociale, lo stato e le istituzioni tutte. Quando Violante dice: “siamo con Saviano, siamo dalla parte giusta” ha ragione. C’è un momento in cui con forza e determinazione bisogna lasciare da parte le ambiguità e scegliere la parte da cui stare, e bisogna gridarlo con forza, con ancora più rumore di quanto non faccia la mafia con le sue minacce. Se isoliamo abbiamo perso tutti ancora prima che un qualsiasi evento tragico accada. Con Falcone, Borsellino e molti altri abbiamo commesso questo errore. Sono rimasti soli, e solo negli ultimi momenti quando ormai era troppo tardi ci siamo accorti che serviva una reazione. Ma la reazione non può essere solo conseguenza e risposta ad un atto criminale, la reazione deve essere preventiva. La voce deve essere corale, l’unità forte e compatta, e deve arrivare come un urlo atroce che metta in guardia. Saviano vive recluso, e non ha più vita, ma ha creduto in quello che faceva con coraggio. Ora tocca a noi. Perchè non è solo lo stato che deve far sentire la sua presenza e vicinanza, ma anche noi cittadini.
Leggi le sue parole e ti manca l’aria. Riesco a dire solo questo.
Leggi quelle parole e ti manca l’aria.
Riesco a dire solo questo.
saviano ormai è classificato come “infame”…fossi in lui sarei già su qualche isola sperduta in polinesia a godermi i soldi…vabbè che non ci sono più i padrini furbi di una volta ma aggiungere un altro martire alla lista sarebbe un idiozia, ormai quello che sapeva l’ha detto credo 😉
Sbaglierò, ma non sono affatto convinto della sua sincerità… quando ha deciso di pubblicare il libro, sarà mica stato così ingenuo da non pensare alle possibili ripercussioni sulla sua vita? I camorristi non sono famosi per il senso dell’umorismo. Tutta questa mi sembra più un’abile manovra pubblicitaria che altro ma, citando Esenin, forse non sono altro che “un cinico con una lanterna attaccata al sedere”. Quanto all’emigrare, un vecchio detto dei bifolchi confederati recitava “puoi correre, ma non nasconderti”… se davvero decidessero di spedirlo al Grande Editore, credo non avrebbero problemi a trovarlo. Ciao!