29 dicembre 2010
Libri

Aldo Nove e la sua vita oscena

“Pensa che quando il dolore è troppo, quando è troppa la differenza, invece di essere lampante non si vede, non si riesce a inquadrarla, sfugge dalla mente, come quando avevo letto dell’arrivo delle navi di Colombo in America, erano così strane che all’inizio i nativi non le videro, eppure erano lì davanti a loro immense, e se ne accorsero solo quando quelli attraccarono e scesero, e così ero io, quello che ero lì, in quel momento di normalità messa in scena per inerzia, non dormivo da giorni, era spettacolare la mia morte diluita, il suo ossequio al desiderio che aveva preso il posto dello strazio, e non c’erano più confini tra morte e normalità, la morte si sconta vivendo, aveva scritto un poeta, ma la mia morte era speciale, e la vivevo lì, in quell’istante mangiando la minestra con altre decine di ragazzi, nel rumore dei cucchiai, nei risucchi delle bocche, non riuscivo a fermare la mia mente, abbandonai tutto e salii in camera, la aprii e rividi il mio inferno minimo, mi chiesi quando avrebbe avuto fine e il mio pensiero fu che avrei voluto che non si estinguesse mai, che avrei voluto morire per sempre, se era quello morire”.

Centoundici pagine per raccontare una sorta di apprendistato del dolore. Un dolore difficile da esprimere, soprattutto quando inizia in giovane età. Ci sono la morte dei genitori, le esperienze limite, la droga, la cocaina, i taxi, il giorno, la notte, la pornografia, il sesso, la sconfitta, la rinascita, la poesia. Un abbraccio fatto di confusione e alterazione di sensi, di liquidi e bocche, accompagna lo scrittore nel passaggio dalle ossessioni adolescenziali a quelle adulte. Centoundici pagine difficili da digerire, amare e commoventi: tutto dipende da quanto il cuore è in grado di reggere.

La vita oscena, Aldo Nove, Einaudi, 2010

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